Da Rogue One a Walter Benjamin: l’attore reale nell’epoca della sua riproducibilità virtuale

cover Rogue One - Benjamin

Come ogni lunedì sera, appena finito di cenare, mi ero prontamente piazzato sul mio comodissimo divano. Armato di popcorn, Coca Cola e Disney+, avevo deciso di rivedermi per l’ennesima volta Rogue One – A Star Wars Story, primo spin-off (e a parer mio il miglior film) della saga più stellare di sempre uscito nel 2016. Così mi misi comodo e iniziai a vedere il film, fino a quando non arrivai ad una particolare scena che catturò completamente la mia attenzione.

In questa particolare scena fa il suo ingresso il Grand Moff Wilhuff Tarkin con le sembianze di Peter Cushing, ovvero l’attore che aveva interpretato il personaggio nella trilogia originale, ma che sfortunatamente ci ha lasciati nell’agosto del 1994. Ovviamente la ILM e la Lucasfilms non hanno resuscitato Cushing con qualche strana magia, il personaggio è stato realizzato completamente in CG. Nel rivedere quella scena la mia mente ha improvvisamente messo da parte il film e prodotto un interessante riflessione sulla figura dell’attore cinematografico comparata con il suo simulacro digitale. Eccoci quindi con una nuova pillola filosofica da condividere.

Walter Benjamin: L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica

Facciamo prima però un passo indietro nel tempo. Nel 1936 il filosofo, scrittore e critico letterario tedesco Walter Benjamin pubblica il saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. In questo saggio egli esprime l’idea che ogni opera d’arte sia circondata da un’aura di prestigio che le conferisca le qualità di unicità, autenticità e riserva pregiata di cultura:

Anche nel caso della riproduzione più perfetta manca comunque una cosa: il Qui e Ora dell’opera d’arte – la sua esistenza unica nel luogo in cui essa si trova. Ma in quest’unica esistenza si è compiuta la storia a cui essa, nel corso della sua durata, è stata sottomessa. […] Per quanto le circostanze in cui il prodotto della riproduzione tecnica dell’opera d’arte può trovarsi possano lasciare inviolata la consistenza dell’opera d’arte, in ogni caso esse svalutano il suo Qui e Ora. […] Ciò che deperisce nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte è la sua aura.

In sintesi, l’idea di fondo è che esista una sola Gioconda, un solo Colosseo, che si trovino rispettivamente solo al Louvre di Parigi e nel cuore della città di Roma. La possibilità che esse possano essere riprodotte in serie farebbe venir meno le caratteristiche sopracitate. In tal modo verrebbe meno anche lo statuto e l’identità dell’opera d’arte stessa.

cover saggio di walter benjamin

Attore reale VS attore virtuale

In un passo dell’opera l’autore esegue poi un interessante confronto tra l’attore teatrale e l’attore cinematografico:

La prestazione artistica dell’attore teatrale viene presentata al pubblico da egli stesso in persona; la prestazione artistica dell’attore cinematografico, invece, viene presentata al pubblico attraverso un’apparecchiatura. Ciò ha una duplice conseguenza. L’apparecchiatura che porta dinanzi al pubblico la prestazione dell’attore cinematografico non è tenuta a rispettare questa prestazione come totalità. […] La seconda conseguenza è che l’attore cinematografico, dal momento che non presenta egli stesso la propria prestazione al pubblico, perde la possibilità, riservata all’attore teatrale, di adattare la prestazione al pubblico durante l’esibizione. […] L’uomo si trova nella condizione di dover sì agire con tutta la propria persona in carne e ossa, ma rinunciando alla propria aura. L’aura, infatti, è collegata al Qui e Ora. Di essa non c’è copia alcuna.

In un certo senso questo intricato ragionamento può essere applicato al caso di Rogue One, confrontando la prestazione dell’attore cinematografico reale con quella di uno virtuale. Riattualizzando quindi il discorso di Benjamin, l’attore cinematografico ha un ruolo ancora centrale nel cinema digitale. Nel calarsi in un ruolo a lui assegnato mette in gioco tutte le sue capacità attoriali, uniche e inimitabili (Pensiamo, ad esempio, a come Heath Ledger e Joaquin Phoenix abbiano interpretato il ruolo di Joker).

Al contrario, l’attore virtuale altro non è che un mero simulacro, una sagoma piatta, un involucro vuoto, dietro e dentro il quale si nasconde comunque un attore, la cui performance tuttavia perde irrimediabilmente il Qui e Ora dell’attore originale, ovvero il suo stile unico e inimitabile, quindi la sua aura.

Un nuovo tipo di cinema digitale?

Uscendo un po’ fuori dagli schemi e allargando il discorso di Benjamin al cinema in generale, si può pensare che esso sia sempre stato un’istituzione basata su diversi elementi unici: la cinepresa, il set, la sala cinematografica, il rito cinematografico, etc. Dal momento che, grazie alle magie del digitale, possiamo sostituire attori in carne ed ossa con un simulacro digitale anche dopo la loro scomparsa, dire addio al set classico e avere solo un’enorme stanza verde o blu, smaterializzare la sala e lo schermo cinematografico per trasmutarli nel nostro salotto e nella nostra Smart TV grazie alle piattaforme di streaming come Netflix, possiamo ancora parlare di cinema oppure esso è diventato altro da sé?

Una possibile risposta a questa domanda è nascosta proprio nel saggio di Benjamin, in un paragrafo dedicato alla contesa tra pittura e fotografia, nel quale l’autore ci invita a osservare il problema da una prospettiva molto più ampia:

Come già in precedenza, molto inutile acume era stato rivolto alla soluzione della questione se la fotografia fosse un’arte – senza essersi posti la questione preliminare: se con l’invenzione della fotografia non si fosse trasformato il carattere complessivo dell’arte […].

Guardando quindi al futuro del cinema digitale, con cambiamenti continui anno dopo anno è difficile dire se lo schermo, sia quello cinematografico che della TV, non verrà prima o poi completamente sostituito da un casco per la realtà virtuale, che ci proietterà letteralmente dentro un film, o se un domani non ritroveremo un redivivo Kirk Douglas tornare a recitare in un remake di Sfida all’O.K. Corral, aprendo la strada a ciò che in futuro potrebbe essere etichettato come divismo virtuale o digitale.

Se tutto questo dovesse realmente accadere, non sarà comunque un problema perché, come ci ricorda Benjamin, nel frattempo sarà già cambiato il carattere complessivo dell’arte.

Follow & Share:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *